La Yellen fa impallidire l’oro

Maggio

31

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Le aspettative di un rialzo dei tassi Usa in luglio ha immediatamente irrobustito il trend di correzione in atto sull’oro (il più imponente dallo scorso novembre), che inizialmente era stato innescato da una fisiologica presa di profitto, iniziata ai primi di maggio, dopo un picco di performance del 20% in dollari Usa e 16% in euro da inizio anno.

I deflussi sui titoli legati al metallo prezioso per eccellenza sono proseguiti sia sugli emittenti correlati che sugli ETF legati direttamente alle quotazioni del prezzo dell’oro. A nulla sono serviti i rumours – peraltro non smentiti – di un’azione di Soros in uscita dalle azioni Usa e in favore proprio dell’oro per arginare la fase correttiva. Questo perché il discorso della Yellen di venerdì 27 maggio ha colpito direttamente al cuore gli investitori che hanno visto nella prospettiva di un rialzo dei tassi un’occasione per spingere le quotazioni in basso, ben oltre quella che poteva essere una semplice fase di assestamento.

Ma ci sono altri fattori da tenere in considerazione e decisamente più strutturali: innanzitutto alcuni importatori, come Hong Kong, sono diventati esportatori netti e poi i flussi che negli ultimi anni si erano mossi verso Oriente stanno decisamente rientrando, in parte anche per vendite provenienti da mercati emergenti sui quali scandali e problemi politici vedono accumularsi difficoltà economiche di primari attori dei mercati internazionali.

Inevitabile quindi vendere l’asset ove la performance accumulata è più evidente e facilmente monetizzabile anche in termini tecnici per assenza di spread, come sugli ETF. In sostanza il balzo dell’oro non è stato accompagnato da effettivi acquisti sul fisico che anzi ha visto Cina e India diminuire i loro flussi in questo senso. Quindi la correzione dell’oro va vista come un riallineamento rispetto agli scambi del sottostante effettivamente avvenuti.
Inoltre, da febbraio, le Banche Centrali hanno cominciato a diminuire i loro acquisti con la sola eccezione di Cina e Russia, divenute fino allo scorso mese le più attive. In particolare, la Banca centrale turca che vede le sue riserve ai minimi dei ultimi tre anni, ha iniziato a vendere pesantemente proprio in febbraio volumi crescenti delle riserve aurifere.

Si riparte quindi da 1200 dollari usa/oncia a metà del guado dei due supporti di 1220 e 1180 in vista di una settimana decisiva per i dati Usa. E di una revisione delle posizioni difensive che hanno permesso però di contenere i danni del primo trimestre, soprattutto per i portafogli azionari più sbilanciati. Che però ora vedono prevalere un’ottica di chiusura opportunistica anticipatamente agli esiti di un semestre che si chiuderà sul Meeting Fed ed il referendum Brexit.

Resta come imperativo una sola parola d’ordine di questi tempi: un trend di due-tre mesi è da considerarsi già maturo per innescare arbitraggi o modifiche all’allocazione e quindi aumentare la rotazione dei portafogli che dopo un primo trimestre di fuoco ora cercano la riscossa giocando sull’opportunismo con strategie di breve termine prevalenti.

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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