Come in un Risiko che ha molto di reale gli aerei militari nordcoreani sono stati schierati sulla costa est e gli americani non ci stanno a farsi scaricare la responsabilità di un possibile conflitto rilanciando la richiesta assai audace di un’ispezione ai siti nucleari in territorio nemico prima di avviare qualsivoglia negoziato.
Questo lo stato dell’arte di un braccio di ferro instancabile e pericoloso tra Trump e Kim Jong Un sullo sfondo di una Cina impegnata sulla via negoziale e diplomatica come non mai. Per adesso il rischio geopolitico di un conflitto risulta asimmetrico rispetto ai mercati ma non verso le valute. Intanto la situazione di tensione per il referendum nelle zone curde irachene ha immediatamente impattato il prezzo del petrolio e sulle istanze irachene e turche contrarie alle mire indipendentiste in un’area strategica per le riserve petrolifere.
I contratti sul Brent necessitano di un monitoraggio attento visto che si posizionano in una backwardation che non si vedeva dal crollo dei prezzi del 2014, con valori a breve più elevati dei prezzi a lungo termine (situazione che perdura da una decina di giorni), confermando – se ce n’era bisogno – la forza della “diga” fissata a 50 $ dollari Usa.
In ogni caso, i mercati azionari americani sono maggiormente concentrati sulle misure fiscali di Trump che prevedono una riduzione delle tasse con una possibile flat tax al 20% per le corporates e le agevolazioni per il rimpatrio dei capitali. L’impatto di queste misure è legato soprattutto al divario storico, ai massimi livelli degli ultimi trent’anni, tra i contribuenti di fascia più bassa ed i cosiddetti “grandi contribuenti”.
Questi ultimi sono rappresentati da grandi multinazionali che fanno della delocalizzazione una strategia legata all’ottimizzazione fiscale e quindi sono maggiormente interessate a valutare un eventuale rimpatrio che non sia solo limitato agli utili, mentre le small cap certamente saranno le maggiori beneficiarie del tanto atteso Piano Fiscale del Governo.
Se si realizzasse questa “pax” sulle tasse i mercati azionari Usa avrebbero un ulteriore motivo per proseguire il loro apprezzamento, in un momento di effettivo turbamento dei mercati europei dopo il risultato elettorale tedesco, sulla scia di un recupero del dollaro Usa che proseguirebbe sino a fine anno (almeno).
Con una Merkel costretta alla “Jamaican Coalition” con Liberali dell’FDP e Verdi è evidente che l’asse con Macron sarà più debole e così il trend sull’euro che sta ritracciando da quelli che possiamo archiviare come i massimi dell’anno. Un euro afflitto anche dal discorso a Firenze della May, che tenta un gioco al ribasso sulla “parcella” del divorzio dall’UE nel tentativo di salvare il suo partito da una frattura inevitabile e per risollevare le sorti della sterlina dai minimi a scapito del mercato azionario inglese.
Dati gli scenari a vantaggio nuovamente del dollaro Usa e del debito Emergente in divisa forte, per i prossimi 3 mesi possiamo derubricare le preoccupazioni sul dibattito per il bilancio americano e l’avvicendamento alla Fed post Yellen ad effetti collaterali di un scenario bellico poco virtuale e molto reale dove l’attenzione all’esposizione valutaria condizionerà le performance di quello che doveva essere l’anno del carry…