I tentennamenti della Fed e l’accumularsi di scandali ed errori di valutazione sulla politica estera fanno perdere la concentrazione dell’Amministrazione Obama sulla politica interna e i suoi problemi.
E intanto l’Asian Business Cycle Indicator registra nuove conferme sul lato investimenti e consumi soprattutto nelle Filippine, in Malesia e in Indonesia. Paesi che in questo momento approfittano della frenata cinese e che vivono all’ombra del Triangolo d’Oro del continente asiatico, formato da Giappone, Cina e Sud Corea.
Al centro di questa fitta rete di relazioni commerciali e finanziarie certamente Cina e Giappone, che tra l’altro attualmente possiedono circa il 40 per cento dei Treasuries americani, secondo il sito del ministero del Tesoro Usa, e che stanno attuando politiche monetarie decisamente opposte tra di loro.
Il Giappone, in concomitanza con l’insediamento del nuovo Governatore della Banca Centrale Kuroda, ha dato fuoco alle polveri per uscire definitivamente dalla morsa di deflazione e stagnazione e completare l’attuazione dei tre pilastri sui quali si basa la strategia del Premier Abe, già ribattezzata Abenomics. Obiettivo inflazione prima di tutto, e rilancio della ripresa economica per un Paese ancora ferito dal terremoto del 2011 e soprattutto dal disastro di Fukushima, che ha di fatto bloccato gli approvvigionamenti di energia nucleare che rappresentavano il 30 per cento delle esigenze del Paese.
Gli effetti della manovra giapponese iniziano a dare i primi frutti concreti con gli ordinativi di macchinari ‘core’ in Giappone, che balzano del +10,5 per cento, ben oltre le stime che si attestavano al +1,3, e dopo il +8,8 per cento segnato ad aprile. Segno inequivocabile di come la ripresa economica e il rafforzamento della fiducia delle imprese stiano aumentando la spesa per investimenti.
Anche sul lato bond gli investitori giapponesi sono tornati ad essere acquirenti netti di emissioni estere, aggiudicandosi l’importo più consistente di obbligazioni straniere dal settembre 2012. La politica ultraespansiva della Banca Centrale giapponese ha condizionato la curva dei titoli domestici avviandoli ad una correzione legata al deprezzamento della divisa e inversamente correlata con il rally del mercato azionario.
E con i primi successi economici e finanziari si intensificano le operazioni tese a ripianare le tensioni con la Cina sulle isole contestate e l’atteggiamento opportunistico di Abe, che hanno portato anche a forme di boicottaggio dei consumatori cinesi nei confronti dei beni giapponesi. Inoltre, il permanere della spinosa questione della Corea del Nord non fa altro che rinsaldare l’asse Cina – Corea del Sud che da sempre mostra un’avversione rispetto al passato colonialista giapponese ed alle mire egemoniche, peraltro ridimensionatesi proprio a causa della stagflazione. Certamente gli accordi commerciali ed economici in vigore sono decisamente più dinamici e costruttivi tra Corea del Sud e Cina, come dimostra la recente visita del Presidente sud coreano Park Geun Hye a Pechino, che ha stupito gli osservatori internazionali per la portata della delegazione, la più grande di sempre: con lui infatti c’erano 71 dirigenti, tra cui il presidente della Hyundai.
Certamente la Cina rappresenta il maggior partner commerciale per la Sud Corea ed i fatti in Nord Corea hanno rafforzato anche i rapporti diplomatici tra i due Paesi, entrambi interessati a contenere le “bizze militari” che sono sempre state una caratteristica delle istanze nordcoreane.
Il recente dato cinese sull’inflazione, balzata al 2.7 per cento in giugno dal precedente 2.1, segna la ripresa di una variabile cruciale per le politiche fiscali del Paese e riaccende le aspettative di nuovi stimoli fiscali, mentre un aumento dei tassi è rimandato comunque al prossimo anno.
Voci insistenti poi vedono il Governo rientrare dai rigori anti inflazione soprattutto dopo un dato negativo sulle esportazioni, il primo degli ultimi 17 mesi che ha offuscato i dati del prossimo trimestre. Ciò aprirebbe la strada ad un cambiamento di rotta perché, al di là degli effetti globali che già si avvertono sulla frenata cinese, il modello scelto dal nuovo Premier, prettamente incentrato sulle riforme e non monetarista, non sta funzionando ed ha creato i ben noti problemi di impennata del mercato interbancario, costringendolo a riconsiderare un nuovo pacchetto di stimoli all’economia mirato alle imprese senza far cadere l’attenzione sullo stretto monitoraggio creditizio al sistema bancario.
Certamente questa annata non sarà delle migliori per il mercato azionario cinese, che dovrà accontentarsi di una modesta performance dello Shangai Composite e del consolidamento delle performance sui Dim Sum Bond – i bond corporates quotati ad Hong Kong in CNY -, ma il prosieguo dei successi nel mercato delle Opa resta un punto fermo.
Un anno di transizione quindi per le Borse cinesi e coreane a favore dei bond, rispetto al listino giapponese avviato a nuovi successi, che comunque negli accordi di swap con la Gran Bretagna vede la Cina segnare una tappa importante per il processo di internazionalizzazione dello yuan renmbinbi, che secondo il Times dovrebbe vedere a breve chiudersi una sostanziale acquisizione swap della moneta unica cinese per circa 800 milioni di yuan con la Germania, via Bce. Permettendo così alla Germania di diventare la prima piazza offshore dello yuan cinese, quale miglior viatico per la rielezione della Merkel…