Messico & Trump

Maggio

11

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C’è un memorandum che scotta a Washington e che rischia di portare gli USA sull’ennesima sconfitta diplomatica in politica estera. Questa nota, pubblicata a fine marzo dal candidato alle Presidenziali Donald Trump, delinea le dure misure che saranno intraprese dal suo governo in caso di vittoria, nelle quali, tra l’altro, è prevista alla costruzione di un muro al confine tra USA e Messico. Il progetto verrebbe finanziato – secondo i dettagli conosciuti – dai proventi del Patrioct Act e sarà volto a prevenire l’immigrazione illegale e i flussi illegali di denaro che ne conseguono e che sono direttamente correlati al problema atavico del Messico in termini di crimine organizzato.

Il legame economico e commerciale tra USA e Messico, sancito anche dagli accordi del NAFTA, è cruciale. E anche se difficilmente la Corte Suprema avvallerebbe la copertura finanziaria ipotizzata dal Trump al progetto, per gli investitori esteri posizionati sul Messico non è certo una prospettiva ottimale.

Con quasi 12 milioni di messicani che vivono negli Usa, comprendendo anche le stime sugli illegali, le rimesse verso il Paese natio ammontano a 25 mld di dollari Usa quindi ben il 2,5% del Pil. Queste rimesse hanno permesso di schiacciare il deficit di parte corrente al 2,8% l’anno scorso, hanno sostenuto i consumi e – cosa ancora più importante – hanno dato aiuto alla parte della popolazione locale a più basso reddito.

Trump ha anche attaccato il NAFTA e ciò ha creato ulteriori pressioni sugli investimenti in Messico data l’interconnessione tra le due economie su settori come quello bancario, farmaceutico, e manifatturiero, con 2.6 miliardi di dollari Usa di scambi commerciali giornalieri.

Osservando gli strani deflussi di capitale che stanno colpendo il mondo degli ETF negli Usa (da uno dei più famosi sugli High Yield a quelli sui mercati emergenti, cominciando dalla Corea del Sud e Taiwan) non stupisce una riduzione repentina del 5% sul Messico, il 5 maggio cioè proprio nel giorno in cui la Banca Centrale ha deciso di lasciare i tassi invariati al 3,75% come nelle attese.

Con un’inflazione al 3% e la fase di buy back del debito a breve da parte del Governo ormai alle spalle, le previsioni sul peso messicano restano orientate ad una seconda fase di rallentamento, complice anche la “variabile Trump”.

E mentre il Governo del Presidente Nieto viene messo in discussione sullo stop del Congresso alla legge anti corruzione tutta l’attenzione degli analisti è concentrata sull’atteso pacchetto finanziario per sostenere Pemex, in una seconda fase di ristrutturazione e a meno di due anni dall’approvazione di una coraggiosa riforma energetica e dopo l’allarme lanciato da Moody’s che richiede un piano importante sino al 2018.

Il Messico presenta comunque fondamentali economici solidi per un Paese situato in America Latina. Inoltre vanta un rating investment grade, stabilmente conquistato negli anni. I CDS sono a 165 basic points, solo 40 più della Cina. Non c’è dubbio però che è la valuta a soffrire questa situazione, fatto che non aiuta tra l’altro gli sforzi governativi nella lotta al crimine.

Negli USA il boicottaggio della comunità messicana si fa sentire a tal punto che anche gli chef pluristellati messicani voltano le spalle alle offerte generose delle major del Gruppo Trump ed è solo l’inizio. Insomma un varo non proprio esaltante per il prosieguo della campagna presidenziale

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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