La Brexit? Forse ma forse

Settembre

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Non solo l’Ungheria, la Slovenia e l’Austria fanno muro e pianificano veri e propri muri contro l’ondata migratoria che si è riversata sull’Europa negli ultimi 6 mesi. Anche l’Inghilterra ha tracciato una linea molto dura nei confronti degli accordi europei, che si unisce alla conferma di un referendum sulla membership europea che Cameron vuol fare entro la fine del 2017, con la prospettiva di invocare l’art.50 del Trattato di Lisbona e preparare la Brexit.

E se il Premier inglese cavalca la disaffezione antieuropeista del suo elettorato, per consolidare il consenso ricevuto dalle ultime elezioni, resta evidente come sia più la variabile politica che quella economica a determinare le decisioni del Governo inglese.

Il paradosso consiste nel fatto che se il Regno Unito beneficia di flussi dall’UE positivi: sia il settore dei servizi sia quello che resta del manifatturiero son legati a filo doppio all’UE. Una vera e propria dipendenza della quale la prima a beneficiarne è Londra in quanto “portavoce” sui servizi finanziari di un mercato europeo che sempre di più aumenta le sue connessioni con l’Asia e il Medio Oriente.

Altrettanti benefici appaiono evidenti sui flussi commerciali (infatti il 50% delle esportazioni vanno verso l’UE, contro il 55% delle importazioni), in aggiunta ai due milioni di britannici residenti nel resto dell’UE. Per 60 anni dalla firma del Trattato di Roma del 1957 gli inglesi hanno mugugnato sull’adesione all’UE, ma già il referendum del 1975 fallì e ora, similarmente ad altri Paesi soprattutto centro e nord-europei, sembra che prevalga più un sentimento avverso sulla piega negativa presa da questa fase decadente e conflittuale della globalizzazione, che non un vero antieuropeismo.

Attualmente quindi il Regno Unito ha un deficit commerciale e un surplus dai servizi finanziari nei confronti dei Paesi UE e, secondo l’analisi del CER, il Centre for European Reform, è solo grazie alle agevolazioni commerciali e più in generale ai trattati europei che l’isola britannica gode di ottima salute negli scambi commerciali e nei flussi di investimento e portafoglio in aggiunta.

Per non parlare del fatto che il 13% dell’occupazione è legata strettamente alle esportazioni verso il continente europeo. Non stupisce quindi che da sempre il mercato inglese è anche assurto al ruolo di “mercato rifugio” dalle turbolenze finanziarie globali e abbia potuto recuperare rapidamente sui dati macroeconomici.

Il suo ruolo centrale, insieme alla Francia e alla Germania, sulla scena mondiale è innegabile e gli investitori per ora auspicano che la Brexit non avverrà mai soprattutto tenendo conto che i vantaggi politici sono decisamente superiori agli svantaggi che derivano dalla membership, vissuta sempre con ampi spazi di manovra e flessibilità soprattutto sugli adeguamenti normativi.

L’incertezza e il nervosismo comunque restano e l’andamento della sterlina inglese ne è testimone. In effetti mentre i flussi sugli investimenti in obbligazioni inglesi restano abbastanza stabili quelli azionari e puramente valutari hanno risentito ultimamente di un ritracciamento nonostante i dati sull’inflazione e le rassicurazioni del Governatore della Banca Centrale Carney su un imminente incremento dei tassi di interesse, per quanto contenuto e graduale.

Con oltre 20 mld di dollari Usa usciti dai mercati asiatici negli ultimi tre mesi ci sia attende una redistribuzione dei flussi di investimento nei quali l’UE e anche l’UK trarranno indubitabili benefici.

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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