La Jihad globale e gli errori Usa

Giugno

13

by Claudia Segre // in

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Mentre tutti gli forzi diplomatici Usa si son spesi sulla questione ucraina con il solo risultato di rafforzare ulteriormente l’asse Cina –Russia , far nascere definitivamente l’alleanza euroasiatica e favorire l’interruzione del South Stream da parte della Bulgaria, il contagio siriano dopo la riconferma scontata di Assad ha favorito la ripresa di un piano folle di jihad globale mai sopito tra gli estremisti piu’ accesi che hanno visto fallire il tentativo dei Fratelli Musulmani in Egitto.

Nella lettera di congratulazioni che il Senatore Usa Richard Black invia al Presidente siriano c’e’ tutta la contraddizione e i gravi presupposti che hanno portato alla sottovalutazione degli effetti sempre piu’ evidenti del conflitto siriano che con oltre   4 milioni   di profughi , ha indebolito gli Stati vicini , infatti solo in Libano i rifugiati siriani rappresentano il 25% del totale della popolazione.

Dalle forse sunnite che in parte han beneficiato del supporto finanziario Usa per combattere contro Assad , nasce l’ esercito di miliziani che si e’ denominato ISIS, miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), che e’ affiliato ad Al Qaeda ed e’ guidato da  Abu Bakr al-Baghdadi, gia’ denominato il “nuovo Bin Laden” da Le Monde, anche se origini famigliari e quindi dei finanziamenti son ben diverse.. Il piano di Abu Bakr dopo la conquista di parte del nord dell’Iraq e completare il controllo sul Paese con l’aiuto di armate Yemenite e somale affiliate .Gli ultimi attentati in Pakistan e la recrudescenza dell’azione di Boko Haram in Africa Centrale creano un contorno favorevole all’azione esattamente come il comportamento tollerante di Hezbollah. Difficile stabilire come quattro anni fa sia stato liberato dopo essere stato arrestato dagli Usa ma sicuramente in pochi anni e’ riuscito a far rinascere il sogno di Al Qaeda in Iraq con oltre 12.000 combattenti, surclassando il piu’ debole  Al Zawahiri.

Il controllo del petrolio rappresenta da sempre la chiave del potere nella regione come ben sa Abu Bakr al-  Baghdadi, con la  presa di Mosul, sede di un hub petrolifero cruciale per l’area posto all’ intersezione tra i confini di Siria, Turchia ed Iraq .Stiamo assistendo ad uno scontro tra le monarchie del Golfo che temono i movimenti islamisti e il fronte islamico sunnita rappresentato da Qatar, Iraq e Turchia, che pur essendo parcellizzato in movimenti differenti, converge con gli stessi ideali di jihad globale dei fronti piu’ caldi della regione e che con la presa di potere militare in Egitto si e’ coeso in una reazione violenta alla malasorte dei  Fratelli Musulmani egiziani, baluardo di un fondamentalismo caro ai sunniti.L’altro lato del fronte islamista sciita, che comunque rappresenta la minoranza in assoluto nel mondo islamico,  appare oggi molto piu’ debole e male organizzata rispetto ai fasti dell’Axe od Devil di Bush,  ma sicuramente Israele si trova esattamente in mezzo alle istanze di queste due forze islamiste.

L’Arabia Saudita resa fragile dalle questioni energetiche interne e l’instabilità derivante dal conflitto siriano non sono certo un buon viatico per una soluzione rapida ed un rientro delle tensioni. L’Iraq rappresenta il secondo piu’ importante esportatore dell’Opec , che a sua volta produce il 30% del fabbisogno di petrolio mondiale , da qui le tensioni del prezzo del WTI e del Brent. Non ultimo il coinvolgimento della Turchia e non solo per gli ostaggi in mano ai miliziani ma anche perché’ il ritiro dell’esercito regolare e la conquista della citta’ di Kirkuk, nonostante la strenua difesa delle forze curde ,rischia di degenerare. Lo stato di emergenza chiesto dal Premier Al Maliki contrastano con le rassicurazioni dell’OPEC che riunitasi ieri ha cercato di tranquilizzare gli investitori sulla regolarita’ della produzione irachena.

L’atteggiamento attendista Usa che vede i maggiori competitors del settore energetico indeboliti dal crescendo delle tensioni come “magra consolazione” pare voler evitare gli errori della guerra del Mediterraneo che qualche anno fa hanno prodotto piu’ danni che altro nella zona del Maghreb e soprattutto in Libia , consegnando il Paese all’ennesimo girone dantesco delle lotte tribali dell’era pre Gheddafi.Non tardera’ molto anche  la reazione dell’ Iran deciso a difendere i confini e preoccupato dell’escalation inaspettata nel vicino Iraq. Di pari passo al petrolio cresce il palladio invece dopo l’esito posotivo sugli scioperi sudafricani e ormai definito come il nuovo “oro” del mondo delle commodities. Troppo presto per vedere un rilancio del segmento, ma certamente la situazione sta condizionando i mercati finanziari internazionali che non hanno avuto neanche il tempo per metabolizzare le mosse BCE e lo scenario di lungo termine di tassi bassi che il rischio geopolitico e’  riemerso con prepotenza e  con pesanti connessioni in Europa grazie ad una generale sottovalutazione delle dinamiche sociali interne alle comunita’ piu’ conservatrici leagte ai Paesi coinvolti nel conflitto.

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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