Iran tra crisi economica e corruzione: cosa c’è dietro la protesta

Gennaio

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Disoccupazione giovanile oltre il 40%, inflazione che rasenta la doppia cifra, stime arbitrarie sul Pil e deficit di bilancio elevato, ma soprattutto altissima corruzione: sono queste le cause all’origine dei moti di protesta in Iran, che presentano rischi ma anche opportunità di cambiamento di fronte al fallimento del potere teocratico e alla ricerca di nuove alleanze geopolitiche.

Come naturale seguito al precedente approfondimento sul neoimperialismo ottomano di Erdogan, e per riflettere sulle nuove alleanze in Medio Oriente che si affacciano sullo sfondo delle spartizioni diplomatiche delle ceneri del sanguinoso conflitto siriano, i moti civili in Iran assumono una nuova valenza geopolitica e necessitano di una riflessione.

Sono bastati infatti pochi giorni perché il movimento di protesta partito dalla città di Mashad si estendesse così da Est a Ovest riunendo sempre più città sino alla capitale Teheran. Inutili le intimazioni del Governo dei Mullah a rientrare nelle case, e nonostante gli oltre 200 arrestati lo scorso sabato ed il blocco di internet, per oscurare i social media che puntualmente da giorni seguono le manifestazioni, non si arresta il crescendo inarrestabile delle proteste.

I RETROSCENA GEOPOLITICI SULLA RICOSTRUZIONE SIRIANA

Domenica sera le immagini si son così bloccate quando l’onda umana di chi protestava sembrava avvicinarsi pericolosamente alla residenza del Presidente Rohuani, e così si rincorrevano le notizie che alcuni rappresentanti della polizia locale si erano rifiutati di sparare sui dimostranti, nonostante si rincorrano le voci dei primi morti.

Mentre le milizie Basij, il corpo delle guardie della rivoluzione islamica, restano il punto di riferimento della strategia per la conquista dei territori siriano-iracheni, dopo la ritirata dell’Isis, e soprattutto dopo il predominio sul nord della Siria assunto dall’Iran. Infatti dopo la battaglia per la riconquista di Aleppo a primavera inoltrata tornare in possesso di territori economicamente posizionati sulla “via della Seta” cinese e quindi sui corridori commerciali che collegano Asia e Medio Oriente all’Occidente faceva parte dell’abile strategia politica che vede queste terre abbondare di rimandi spirituali al mondo sciita. Un primo passo per rafforzare il piano di un’alleanza pan-sciita con Iran, Libano e Siria, ai quali si aggiungerebbe la Turchia in versione opposta alle monarchie del Golfo, quindi un chiaro rimando al conflitto interno atavico nel mondo islamico tra sciiti e sunniti “scoperchiato” sin dalla seconda Guerra del Golfo americana di quindici anni fa.

Tra l’altro ciò avviene proprio mentre la Cina ha ampliato le sue attività a sostegno del piano di ricostruzione della Siria, in linea con l’aiuto sempre offerto ad Assad bloccando qualsiasi tentativo dell’ONU di imporre sanzioni alla Siria e offrendo supporto logistico e medico e ottenendo in cambio un coinvolgimento delle proprie imprese per il ripristino delle reti di telecomunicazioni ed energetiche.

LE PROTESTE E LA LORO ORIGINE : LA CRISI ECONOMICA E LA “BRIBE TAX”

Difficile riannodare le fila di una spinta degli ultraconservatori di Khamenei che vorrebbero riproporre il loro candidato Raesi che era stato battuto nelle ultime elezioni dall’attuale Presidente. Perché a Teheran gli slogan contro il potere teocratico in carica dal 1979 sono forti e chiari e non si vedevano masse organizzate così dal 2009, anno in cui il Movimento dell’Onda Verde, al quale Obama voltò le spalle, avviò una ribellione all’esito elettorale che sancì la vittoria di Ahmadinejad. Differentemente da allora l’eco dei moti si stanno estendendo in Europa e oltre, laddove son presenti comunità di coloro che fuggirono all’ascesa degli Ayatollah e del potere religioso e si inizia a risentire l’incitazione al ripristino di un governo democratico del popolo sino al richiamo all’erede della dinastia Palhavi, il Principe Reza Ciro che da un paio di anni è diventato sempre più presente sui media nel condannare la difficile situazione socio economica del Paese e la strategia “suicida” delle alleanze politico-militari a scapito delle riforme economiche necessarie e sollecitati dagli enti multilaterali che garantiscono finanziamenti.

Con una disoccupazione giovanile ben superiore al 40%,l’inflazione rasente la doppia cifra e l’alto livello di corruzione che caratterizza gli ambienti governativi e gli esiti del bilancio del Paese ove si evidenziano le ingerenze di fondazioni religiose, istituti di ricerca e istituzioni legate al potere religioso nello sperpero dei fondi pubblici ciò che balza all’occhio nel rapporto del FMI di fine ottobre è la complessa situazione del Paese. Proprio a causa del livello di corruzione il Paese è 131esimo su 176 Paesi misurati nell’Indice Transparency International che misura il livello di corruzione percepita , un vero e proprio costo che erode il PIL e il benessere dei cittadini , detta e misurata come una sorta di “Bribe Tax” . E sono note le difficoltà ad attrarre nuovi investimenti anche ai donors multilaterali proprio a causa di questa endemica attitudine .

Nel 2016, l’anno seguente l’accordo sul nucleare con l’Amministrazione Usa guidata dal Presidente Obama, il Governo ha attuato una revisione metodologica del calcolo del Pil che ha visto il dato del 2016 impennarsi dal 6,5% al 12,5%, ed è previsto per il 2017 al 3,5%. Un escamotage che è stato accettato dal Fondo Monetario Internazionale ma non dagli analisti internazionali che ne hanno sottolineato l’arbitrarietà. Paradossalmente lo stesso Ayatollah Ali Khamenei ha chiesto al Governo conto dei dati ufficiali dell’Iran, dato che dopo l’accordo con gli Usa e l’allentamento delle sanzioni internazionali è stato permesso al Paese di triplicare le esportazioni di greggio dal novembre del 2015 da meno di 1 ml di barili al giorno a oltre 2,3 milioni di barili al giorno. Iran e Iraq hanno deciso di non accondiscendere opportunisticamente ai tagli dell’Opec imposti dai sauditi per quanto decisi in accordo con la Russia.

Ma con i prezzi del petrolio bassi il deficit di bilancio resta elevato, anche se inferiore ad altri Paesi dell’Area , ed a questo si aggiunge un sistema bancario considerato dall’FMI fragile e con una forte esigenza di ricapitalizzarsi e di ridurre debiti insoluti e titoli tossici e che va incontro ad una forte concentrazione prevista nei prossimi anni. Il rapporto dell’ultima missione dello staff Fmi sottolinea poi che il mancato coinvolgimento di risorse altamente competenti nel mondo del lavoro appartenenti al genere femminile non permette di offrire un fattivo contributo alla produttività e quindi alla crescita del Pil.

La pubblicazione di un bilancio trasparente sulla gestione delle risorse finanziarie è lo stesso scoglio che caratterizza i rapporti tesi tra le organizzazioni Multilaterali che offrono finanziamenti e che cercano riscontri in uscite che direttamente o indirettamente risultano poi legate ad attori coinvolti nella jihad islamica e nel conflitto siriano come Hamas ed Hezbollah, e richiedono puntuale rendicontazione sull’utilizzo e sul raggiungimento di obiettivi socio economico predefiniti che come in questo caso vengono delusi e lasciano il Paese isolato dagli interessi degli investimenti stranieri.

Nel caso dell’Iran però la partita in gioco è complessa e non si ferma alle sole voci di bilancio come ben si è capito e vede diversi attori sull’agone politico della conclusione del conflitto siriano: partendo dalla Cina, interessata a rafforzare la Sco (Shangai Cooperation Organization) coinvolgendo l’Iran in versione anti Nato, alla Russia che deve garantirsi l’utilizzo delle basi militari in Siria e tiene buoni rapporti sia con Turchia che con l’Iran.

L’Iran resta per il 2018 una enorme fonte di preoccupazione per l’impossibilità di avere garanzie sulla minaccia di utilizzo di un arsenale nucleare che non ha mai conosciuto sostanziali battute d’arresto nella sua alimentazione ma solo parziali rallentamenti e che hanno illuso Obama di un accordo sostanziale. Mentre i moti di piazza ora resi muti dal blocco di internet sono una enorme opportunità di cambiamento per un Paese che potrebbe giocare un suo ruolo economicamente rilevante con un Governo seriamente impegnato su un piano di riforme strutturali ed economiche che incidano sul malessere dei giovani iraniani sempre più insofferenti ad un potere teocratico che ha fallito nella gestione del sistema economica e della sostenibilità nonostante le enormi ricchezze al suo interno.

About the author, Claudia Segre

As a financial expert, author, speaker, and the president of Global Thinking Foundation, Claudia Segre believes the only way to build a brighter, more prosperous future is to invest in the financial education of all women and girls.

She uses her platform to fight economic violence, accelerate financial inclusion for women, support female entrepreneurs, and promote the role of fintech in closing the gender gap.

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